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venerdì 27 marzo 2015

THE BABADOOK
di Jennifer Kent
Acclamato in molti festival di cinema indipendente, fra i quali il blasonato “Sundance”, “The Babadook” ha rapidamente conquistato anche un larga fetta di fans del cinema horror. Produzione australiana del 2014, frutto di svariate co-produzioni finanziarie fra le quali anche una campagna crowfunding di successo, “The Babadook” è l'opera prima della regista Jennifer Kent che, con piglio e sensibilità tipicamente femminili, ci narra una storia di “fantasmi” (e le virgolette, in questo caso, sottolineano quanto sia generico il termine fantasmi per il film in questione) che si mantiene sospesa fra brividi da autentico cinema del terrore, dramma socio-familiare e citazionismo raffinato. La storia vede Amelia, vedova e madre single, alle prese con il proprio problematico figlio che ha forti difficoltà ad integrarsi nell'ambiente scolastico. Sam, questo il nome del bambino, ha atteggiamenti spesso violenti e soprattutto ha una continua ed ossessionante fobia : è convinto di essere perseguitato da un mostro che si nasconde in camera sua. La madre è fortemente preoccupata dalle manie del bambino e le cose peggiorano ulteriormente quando la donna rinviene un misterioso libro pop-up (il nostrano libro tridimensionale per bambini) fuori dalla propria abitazione. Il libro s'intitola Mister Babadook e parla, attraverso termini e figure infantili ma assai minacciose, di una sorta di uomo nero che rapisce e uccide i bambini. Dal ritrovamente del libro in poi la situazione inizierà a precipitare progressivamente e il misterioso “uomo nero” s'insinuerà sempre di più nella vita della sfortunata famiglia. Nel tracciare la trama del film in questione sono stato alquanto vago per evitarespoiler o suggerimenti di troppo, ovviamente per non rovinare la visione allo spettatore. “The Babadook” ha sicuramente il suo punto di forza nell'atmosfera angosciante e stringente che riesce a creare con lo scorrere dei minuti. Diretto con mano elegante ed interpretato efficacemente, il film si muove sui binari del “genere” e riesce a raccontare una storia che si presta a lettura ambivalente. Da un lato la ghost-story e dall'altro il dramma dell'orrore quotidiano, in grado di consumarsi fra le pareti domestiche. In particolar modo viene tratteggiata efficacemente la sofferenza di Amelia, madre sola ed emarginata, vittima di pregiudizi e logorata dalle preoccupazioni nei confronti del figlio che rischiano di portarla verso il baratro della follia. Verso il labile confine che separar raziocinio da raptus incontrollato. “The Babadook” è un'orchestra che suona bene, armoniosamente ed intensamente e regala più di qualche brivido, peccato solo per gli ultimi 20 minuti di film. Una piega troppo consona agli standard cinematografici delle più recenti ghost-stories, un sensazionalismo poco credibile che toglie il fascino della suggestione e della libera interpretazione della storia che, fin a quel momento, era aperta sia all'interpretazione soprannaturale e sia a quella della realtà che scivola lentamente verso i confini nebulosi della pazzia. Aldilà di questa considerazione personale, resta un film sicuramente da vedere.
4 MOSCHE DI VELLUTO GRIGIO
di Dario Argento
Con il 1971 si conclude la famosa "trilogia degli animali" grazie alla terza opera della non più “solo promessa” ma esaltante realtà di Dario Argento:
"Quattro mosche di velluto grigio".
Se con i primi due film "L'uccello dalle piume di cristallo" ed "Il gatto a nove code" aveva sovvertito le regole del thriller ed il modo di fare cinema in Italia, ora estremizza ancor più le sue abituali tematiche inserendo frammenti di fantastico - irrazionale nel thriller più puro. Questo è dovuto alla geniale, ma non plausibile, soluzione finale secondo la quale con un apposito macchinario si può scoprire l'ultima immagine della vittima rimasta impressa nella sua retina e che porta alla scoperta dell'assassino, anche se in realtà nel film non avviene così poichè quello rimasto impresso riguarda una sequenza di quattro mosche, così che i protagonisti vengono ancora una volta beffati e con loro lo spettatore. La soluzione talmente innovativa, per quanto assurda, diventò all'epoca un caso che però si sgonfiò presto dovuto anche alla netta smentita da parte della medicina ufficiale.
E' qui che inizia quello che sarà da ora in poi il marchio di fabbrica della filmografia argentiana: la famiglia mostro che partorisce l'assassino. Infatti mentre ne "L'uccello dalle piume di cristallo" l'omicida era spinta in seguito alla visione di un quadro che dipingeva la sua stessa aggressione subita da bambina e ne "Il gatto a nove code" la molla criminale era inserita nella conformazione cromosomica dell'assassino (uno dei ricercatori dell'istituto), da ora in avanti la causa scatenante è da ricercarsi in molti casi all'interno della stessa famiglia, che siano rapporti ambigui tra genitore e figlia (come in questo caso dove il padre che aveva sempre desiderato un maschio picchia la figlia e la fa rinchiudere in manicomio con la sola colpa di essere una donna), tra madre e figlio (coppia omicida in
"Profondo Rosso" dove tutto l'incubo nasce dall'omicidio del padre ad opera della moglie la quale doveva essere rinchiusa in un ospedale psichiatrico), ancora tra madre e figlio in "Phenomena" dove quest'ultimo (mostruoso frutto di una violenza sessuale ad opera di uno squilibrato) si accanisce su povere collegiali di un istituto svizzero con l'assenzo-aiuto della madre ed istitutrice, mentre tracce di psicopatia sessuale all'interno della famiglia si trovano anche in "Opera". La cosa poi inquietante, riguardo al film in questione, è il parallelismo tra la vita reale del regista e la pellicola, poichè più di una persona all'interno della troupe aveva intravisto una non lieve somiglianza tra sua moglie Daria e la protagonista (l'inglese Mimsy Farmer ottima nella parte), la finzione si mescola con la realtà e con il protagonista che a poco a poco si accorge che colei con cui condivide il letto matrimoniale è una persona misteriosa. Argento a riprese ultimate si separerà dalla Nicolodi.
In questo film assoluta dominante è l'incertezza, dato che già dal primo omicidio si scopre in seguito che di tale non si è trattato ma l'uomo verrà in seguito ucciso a metà film; l'investigatore omosessuale che pensa di avere intrappolato l'assassino in un bagno pubblico, viene a sua volta ucciso con un colpo in testa ricevuto da una sbarra di ferro e finito con una puntura di veleno nel cuore; la moglie amata si rivela il peggiore dei tuoi incubi.
Si svela poi da ora anche l'altra passione del regista, quella per il teatro e tutto ciò che lo circonda: tutta la sequenza iniziale dove Roberto (il protagonista) inseguendo lo sconosciuto da cui era pedinato entra proprio in un vecchio teatro, dove comincia una collutazione con il misterioso uomo uccidendolo accidentalmente con un coltello appartenente alla vittima (tutto questo sotto gli occhi di una persona mascherata che fotografa l'accaduto); in "Profondo rosso" la sequenza iniziale sul congresso di parapsicologia si svolge in un teatro ed è da lì che comincia l'incubo;in "Suspiria" non si parla di teatro nel vero senso della parola, ma tutte le scenografie sono di ambientazione teatrale, così come in "Inferno"; in "Opera" infine è il teatro di per sè fattore dominante. Come sempre Argento non è innovativo solamente nello svolgimento della trama, ma anche sotto il punto di vista puramente tecnico dato che l'ultima sequenza del film, venne girata al rallentatore con una cinepresa fino ad allora usata solamente per lavori scientifici la quale può riprendere fino a 6.000 fotogrammi al secondo invece dei normali 24, ed il risultato finale è entusiasmante e straziante come la morte rappresentata.
Non c'è che dire: oramai Argento, diventato un regista di levatura mondiale, si apprestava, dopo la non felice parentesi de "Le cinque giornate", a realizzare il suo capolavoro con il quale sarà sempre ricordato nel mondo: "Profondo rosso
666
di Angelo Di Noia
Ancora bambole assassine per Di Noia che con questo corto conferma la sua vena per il trash ed il weird estremo. “666” sembra quasi una sorta di variante del precedente “The Evil Doll” dal quale , oltre che riprendere il soggetto principale della bambola assassina, riprende anche lo stile visivo sporco e  monocromatico. Tutto comincia con una folle scena, degna del più oscuro cinema muto, durante la quale, in piano sequenza, assistiamo ad un rito demoniaco effettuato da un bizzarro individuo che vaneggia e smanaccia l'aruia a più non posso. Il rito serve a trasportare uno spirito malvagio nel corpo inerte di una bambolina. Ovviamente dopo ciò, il giocattolo diventa letalmente aggressivo e a farne le spese saranno una ragazza ed un prete (interpretato con vigore dallo stesso Di Noia) intervenuto per scacciare il maligno. La follia imperversa in “666” ed assistiamo a tutta sorta di situazioni paradossali fino al finale delirante. Se da un lato la spontaneità folle di “The Evil Doll” si è persa, dall'altro un maggiore cura estetica sembra emergere dal corto in questione che regala, specie negli ultimi minuti, delle scene di buon impatto visivo. C'è ancora dell'approssimazione nella resa tecnica anche se spesso, la rozzezza nelle riprese e nel montaggio sembrano essere veri e propri punti di forza (e sembrano ricercati dallo stesso autore) nella folle missione cinemtografica di Di Noia. A questo punto, attendiamo successive follie del regista di Venosa.
SEI DONNE PER L'ASSASSINO
di Mario Bava 
Immaginatevi chiusi tra quattro mura lisce e senza la minima apertura, da soli, a farvi compagnia solo una soffusa luce rossa, della quale non riuscite ad individuare la fonte; una sola certezza: dovete morire, e non di certo per mano vostra. Che sensazioni provereste? Probabilmente le stesse che vi assaliranno guardando questo film, che rispetto alla scena descritta prima ha solo una scenografia più ampia e un numero maggiore di vittime, per il resto, luce rossa e opprimente senso di morte compresi, vi ritroverete davvero chiusi in quella stanza, della quale solo il maestro Bava conosce l'uscita, e credetemi, lui di certo non vi lascerà scappare via! Stanze chiuse a parte, questa variazione sul tema del "Delitto perfetto" del grande regista italiano è davvero molto valida e spicca per le brillanti doti narrative e tecniche, luce rossa in primis. Del resto, pur trattandosi di un classico tema del cinema giallo e del terrore, risultati così buoni era lecito aspettarseli da un artista che non manca mai di infondere alle proprie opere il suo personalissimo stile. Dario Argento stesso, nelle sue prime tre opere, dimostrerà d'aver appreso appieno tale lezione di cinema. L'ennesima dimostrazione dell'eccelso e prolifico genio creativo di Mario Bava
7 MUMMIES
di Nick Quested
Ennesimo clone di "Dal tramonto all'alba" che vede un gruppo di delinquenti in fuga, imbattersi in un antico medaglione risalente all'epoca dei conquistadores. Dopo che un vecchio indiano rivelerà loro l'importanza del medaglione stesso, sorta di sigillo che permette di scoprire un antico tesoro centenario protetto da sette mummie, i galeotti decideranno di mettersi alla ricerca del leggendario oro sepolto. S'imbatteranno in un misterioso villaggio nel deserto, popolato da gente che sembra essere ferma ai tempi del far west, e qui dovranno lottare per la sopravvivenza poichè, a loro spese, si renderanno presto conto di essere circondati da una masnada di morti viventi affamati. Ironia, un pò di gore, un pizzico di sesso e tanta action, gli ingredienti della pellicola in questione che, seppur intrattenedo, rivela grossi limiti di sceneggiatura. Il film è un baraccone rutilante, senza molto senso a dire il vero, che si appoggia a consueti clichè senza offrire nulla di nuovo. Qualche momento divertente si alterna ad altri che scivolano decisamente nel ridicolo, fallendo il tentativo di mantenersi in equilibrio fra trash volontario e spirito serioso (vedi la lotta fra i galeotti e le mummie redivive, che si difendono a colpi di karate). Da segnalare, nel cast, l'impagabile presenza di Danny Trejo e Billy Drago, quest'ultimo nei panni di un villain di tutto rispetto. Per una visione notturna, con zero pretese
7 NOTE IN NERO
di Lucio Fulci
Virginia è una donna dotata di poteri paranormali, che da bambina le causarono l'orrenda premonizione del suicidio della madre. Da adulta, la sua vita scorre normale e felice, finchè giunta in Italia per lavoro non ha un'altra terribile visione. Un atroce delitto in cui un uomo sta murando vivo qualcuno, probabilmente una donna. Virginia stordita e atterrita dalla macabra esperienza decide di indagare, per scoprire se ciò che ha visto è reale o meno. E per cercare di impedire che accada. Un film carico di tensione, con una trama molto accattivante ed una valida sceneggiatura , scritta a sei mani da Dardano Sacchetti, Roberto Gianviti e lo stesso Fulci, vagamente ispirata al "Gatto nero " di Edgar Allan Poe. Ottima la fotografia di Sergio Salvati e brava Jennifer O'Neill nel ruolo da protagonista, inquieta ed angosciata. Un Fulci in gran forma che ci regala un bel thriller parapsicologico che, come egli stesso ha dichiarato in più di un'intervista, ha sempre considerato come una delle sue opere più riuscite nonostante lo scarso successo che, ai tempi, ebbe nelle sale cinematografiche. Datato 1977
13 BELOVED
(13 GAME SAYAWNG)
di Ma-Deaw Chukiatsakwirakul
Se uno volesse fermarsi al nome del regista, probabilmente si arrenderebbe subito: convincersi alla visione di una pellicola di Ma-Deaw Chukiatsakwirakul non dev'esser semplice, ma vi assicuro che una volta vinto l'imbarazzo iniziale non rimarrete delusi. 13 Beloved è un thriller, a tinte horror, che vede come protagonista Chit, un giovane studente con gravi problemi economici: non ha più un lavoro, non ha più la ragazza, uno sfigato a tutto tondo. Ma sarà una curiosa chiamata al cellulare a dargli la possibilità di cambiare la sua vita per sempre: una allegra voce gli offre infatti l'opportunità di partecipare ad un singolare quiz telefonico nel quale Chit sarà chiamato a superare 13 prove. Ogni volta che riuscirà a superarne una con successo, gli verranno accreditati molti soldi sul conto corrente, per un totale di 100 milioni di Baht (circa 2 milioni di euro,se non erro). Un errore basterà per perdere tutto, così come un eventuale abbandono. Un incredulo Chit capisce di avere una enorme chance per sistemare ogni suo problema, ma non sa che quello sarà soltanto l'inizio di un lungo incubo, un incubo che lo trasformerà in uno spietato killer spinto ad uccidere esclusivamente dalla brama di denaro, da una sfida mortale alla quale non è possibile rinunciare e che tirerà fuori tutta la bestialità del povero studente thailandese. Un thriller piuttosto originale quindi, ben confezionato ed interpretato e con una sottile vena umoristica che, nella seconda parte della pellicola, lascia spazio al dramma più crudo. Peccato soltanto per un finale non all'altezza, ma la visione è gradevole e consigliata.